La stanza del carcere in cui è stato lasciato sembra quasi
avvolta dalla luce del sole. Come se il regista avesse scelto di dare a Stefano
un supporto, come se il sole lo avesse invaso e riempito , almeno con il suo
calore.
Il rumore della cella.
La galera.
Due uomini, due agenti, aprono una porta per entrare da “Cucchi”,
lo chiamano, il ragazzo è lì, sdraiato sul lettino.
Qualcosa non va.
Si accorgono che la persona lì sdraiata non ha circolo e
chiamano qualcuno.
L’opera di Alessio Cremonini, Sulla mia pelle, si apre con il
ritrovamento del corpo di Stefano Cucchi.
E’ mattina presto. La stanza del carcere in cui è stato
lasciato sembra quasi avvolta dalla luce del sole. Come se il regista avesse
scelto di dare a Stefano un supporto, come se il sole lo avesse invaso e
riempito , almeno con il suo calore.
Non ci sono grandi sfarzi o grandi giochi di macchina.
Per fare del cinema, occorre una storia, un personaggio. E
lui è lì. Senza vita. Solo.
In contrapposizione ai rumori assordanti del carcere, c’è il
silenzio di un corpo.
Lo spettatore sa già che Stefano Cucchi non si alzerà .
Conosce la sua fine. Ma quello che stiamo per vedere è l’inizio di tutto.
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