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negli anni 80 in Irlanda, sulla scia dei 'vicini' autori inglesi, prende via una strada di sceneggiatori/autori che inaugurano la strada della regia. Cosa nuova per il cinema dell'oltre manica che , almeno per buona parte, fino a quel periodo era composto da registi che pensavano solo al lavoro dietro la macchina da presa e sceneggiatori che si dedicavano alla scrittura.

tra questi nomi, compare quello di Jim Sheridan che nel 1989 esordì con il complesso lavoro tratto dalla storia vera di Christy Brown, scrittore irlandese, contenuto nel libro My Left Foot: The Story of Christy Brown .




la storia, è quella di Brown, nato con una paralisi cerebrale che costringeva all'immobilità di tutto il suo corpo, ad esclusione del piede sinistro.

Christy, nato in una famiglia proletaria nella Dublino degli anni trenta, viene cresciuto in un ambiente povero in cui però non risente mai della sua condizione di diversamente abile. la cura della madre, che con lui stabilisce un importante rapporto di affetto, la numerosa schiera di fratelli che riempiono la casa e la semplicità paterna, donano al bambino un'infanzia in cui nonostante le avversità fisiche riesce a vivere esperienze comuni agli altri bambini, sviluppando relazioni fraterne nella stessa comunità di cui fa parte e sviluppando un forte interesse per la lettura e pittura con cui, nel seguire degli anni riesce ad esprimere le proprie emozioni.

il lavoro di Sheridan, sviluppa il personaggi, complicato di Christy, interpretato dal bravissimo Daniel Day-Lewis, che crescendo affronta la sua vita, dividendosi tra crisi esistenziali e lo sviluppo di un'importante autoironia che gli consentirà di mantenere rapporti personali importanti in famiglia ed all'esterno.

scrivendo una sceneggiatura da un testo già pronto, autobiografico, Sheridan avrebbe rischiato di cadere nel copia/incolla, invece plasma le emozioni del personaggio attraverso una descrizione di un ambiente costruito intorno a lui. piccolo ma caloroso, finendo per essere quotidiano anche allo spettatore. Daniel Day-Lewis, che vinse con il ruolo il suo primo Oscar, concentra la sua recitazione sulla fisicità, Brown seppur immobilizzato esprimeva le sue emozioni, le sue frustrazioni con il suo fisico, e Day-Lewis si sconvolge nel dolore e nella sensibilità dell'uomo, esternando ogni volta significati diversi. Ciò che colpisce è lo sguardo con cui Day-Lewis esprime Brown. Uno sguardo splendente, intriso di vita che vuole sbocciare e che vuole urlare. E' una prova attoriale di alto livello in cui si dimentica il resto del mondo, la propria persona per vivere nei panni del personaggio senza sforzare e senza cedere a patetismi o inutili sfarzi. A dimostrazione di quanto una sceneggiatura possa dare all'attore gli strumenti utili per rendersi altro.

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